L’universo superluminare: coscienza e memoria dell’acqua, parla il Prof.Max Caligiuri

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Luigi Maximilian Caligiuri è un fisico teorico di fama internazionale. Le sue ultime attività di ricerca riguardano la teoria quantistica di campo coerente e le sue applicazioni nella Fisica fondamentale, nella cosmologia e nelle neuroscienze. Ha di recente elaborato una teoria innovativa sull’origine della materia, basata su un nuovo modello dinamico di vuoto fisico, pubblicata nel volume “Unified Field Mechanics”, edito da World Scientific (2015) ed è coautore del volume “The Superluminal Universe: from Quantum Vacuum to Brain Mechanism and Beyond”, edito da NOVA Science (2016). È direttore Scientifico del Foundation of Physics Research Center (FoPRC) e membro del comitato scientifico, in qualità di academic editor di numerose riviste scientifiche internazionali di Fisica teorica e applicata. Dal 2015 è anche membro esperto dell’International Engineering and Technology Institute (IETI) e figura nell’elenco delle personalità di fama internazionale, individuate dal Marquis Who’s Who.

Professor Caligiuri, com’è cambiato oggi il modo in cui consideriamo il vuoto e la materia stessa?

Oggi sappiamo che la materia è il risultato di una particolare conformazione dei campi.

John Weaver sosteneva: “La storia della Scienza, in particolare della Fisica, si sviluppa in tre epoche: l’epoca della materia, dei campi e dell’informazione; io ne aggiungerei una quarta, che è l’epoca della “complessità dell’informazione”.

Il vuoto quantistico è un mare magnum, riempito da particelle. Fino a qualche decennio fa si pensava che l’energia in esso intrappolata fosse inaccessibile. Negli anni ’90 uno dei miei grandi maestri, Giuliano Preparata, introdusse una teoria rivoluzionaria: la “Teoria della coerenza elettrodinamica quantistica”. Il concetto è molto semplice, l’ho spiegata anche a mia figlia, spingendola sull’altalena e dicendole: “Guarda, se io ti spingo con la stessa frequenza in cui tu oscilli, con la minima quota energetica posso farti arrivare più in alto”. Cosa succede, quindi, quando due sistemi fisici interagiscono fra di loro in questa maniera? Si crea un amplificazione di questa oscillazione. Con una piccola oscillazione di partenza posso creare un grande risultato ed è quello che accade nei sistemi complessi. Quando la densità delle particelle è sufficientemente elevata, si accoppiano fra di loro grazie al campo del vuoto – il vuoto quantistico – cominciando ad oscillare in fase; quindi il sistema preleva della materia dal vuoto e comincia a condensarsi sottoforma di materia condensata. C’è un passaggio d’informazione fra il vuoto e la materia.

Tesla capì questo concetto realizzando le sue “torri”, con le quali cercò di perturbare lo stesso vuoto, i suoi studi pionieristici, purtroppo, furono sbeffeggiati o archiviati.

La stessa cosa accadde per quel che riguarda la “fusione fredda” con G.Preparata, che riprese gli studi di Martin Fleischmann e Stanley Pons. In entrambi i casi le applicazioni delle loro teorie sarebbero andate a scardinare quei dogmi scientifici che, con estrema fatica, vengono di solito abbattuti e si sarebbe andati a ledere grossi interessi economici all’industria della produzione energetica.

Oggi, la vera frontiera della produzione di energia è quella di utilizzare i sistemi quantistici, perché Il vuoto è un oggetto dinamico da dove possiamo estrarre energia, perturbandolo opportunamente.

Un’applicazione di questo tipo è attualmente oggetto di ricerca da parte della NASA, per utilizzarla come sistema di propulsione spaziale. Si sta quindi studiando il sistema grazie al quale la perturbazione del vuoto di tipo elettromagnetico possa dare luogo ad una spinta, una “free energy”, quindi, alla quale potremmo sempre attingere, poiché il vuoto quantistico permea tutto l’Universo.

Recentemente dei miei colleghi Rumeni sono riusciti a creare materia a partire dal vuoto quantistico. Mi chiamarono, dicendomi che erano riusciti a mettere in pratica quello di cui scrissi 3 anni fa ovvero, con dei laser molto potenti, sono riusciti a perturbare il vuoto quantistico. Quella concentrazione di energia ha fatto così tirar fuori dal vuoto delle particelle che da virtuali sono diventate reali. Siamo riusciti pertanto a creare la materia e questo ha – e avrà – innumerevoli applicazioni.

Concludendo, possiamo dire che la materia è informazione strutturata e ha origine dalla strutturazione di domini quantistici macroscopici.

Professor Caligiuri, lei e il suo team avete ripetuto l’esperimento del ricercatore Masaru Emoto, effettuandolo sull’acqua del Santuario di San Francesco di Paola, con risultati stupefacenti, esponendola agli stimoli positivi e di preghiera della moltitudine di fedeli che frequentano il luogo di culto. I risultati hanno evidenziato una struttura cristallina particolarmente simmetrica e coerente, assimilabile ai risultati ottenuti dal ricercatore giapponese in momenti e luoghi diversi, tra i quali il Santuario di Lourdes. Un punto d’ incontro quindi fra Scienza e Fede?

Quando noi parliamo di “memoria dell’acqua”, ci riferiamo a un effetto quantistico, termine peraltro fin troppo abusato ultimamente. Secondo i nostri esperimenti, l’acqua avrebbe la possibilità di memorizzare alcune informazioni, modificando la propria struttura interna, sulla base di effetti che provengono dall’esterno: un’interazione non locale tra l’acqua e l’ambiente circostante. Masaru Emoto è stato il pioniere di questa sperimentazione ed è stato appunto il primo a inventare una tecnica che permettesse il rilievo della struttura dell’acqua che, dopo esser stata esposta all’ambiente da esaminare, viene portata alla temperatura di -20 gradi celsius, dopodiché viene lasciata per qualche ora, per poi venir spostata in un ambiente a -5 gradi celsius. È possibile così analizzarla al microscopio, aumentando gradualmente la temperatura, dove il cristallo compare per 20/30 secondi prima di sciogliersi. L’acqua rispondeva diversamente, in base alle frequenze e alle melodie veniva sottoposta o, ancora, rispondeva diversamente a parole e immagini diverse fra loro. L’inconoscibile è inconoscibile solo in base alle conoscenze attuali. Molti dei fenomeni che erano imputabili a esseri sovrannaturali ora sono spiegabilissimi, ma non c’ è contrasto fra Scienza e Fede. Abbiamo esaminato l’acqua di alcuni dei più famosi luoghi di culto: un’acqua considerata miracolosa e che genererebbe benefici sia al corpo che allo spirito. Una delle teorie che sarebbe in grado di spiegare fenomeni considerati miracolosi è la “coerenza elettrodinamica quantistica”, basata sul concetto di risonanza, la quale afferma che in alcune sostanze come l’acqua si formi una sorta di risonanza fra le molecole che la compongono e un campo elettromagnetico che viene “estratto” dal vuoto quantistico.

Professore, lei è direttore Scientifico del Founda­tion of Physics Research Center (FoPRC), organizzazione internazionale indipendente per la Ricerca avanzata in Fisica, che vanta collaborazioni di Ricerca in tutto il mondo. Recenti indagini condotte presso il FoPRC hanno dimostrato la possibilità che una partico­lare evoluzione dinamica del vuoto quantistico possa avere dato origine non solo alla materia, ma anche a una rete di interazioni superluminali; queste spiegherebbero, inoltre, la radiazione di fondo a microonde (CBR) presente nell’Universo, che ne rappresenterebbe il relitto dello stato primordiale. È concepibile quindi, che prima della nascita dell’Universo esistesse il vuoto e che ruolo ha l’antimateria in tutto questo?

Il compianto Stephen Hawking sug­gerì che, durante un periodo d’inflazione dell’Universo (cioè una fase di espansione ultrarapida dello spazio che, nei modelli cosmologici attuali, pre­lude al Big Bang), questo possa utilizzare in maniera consistente la propria energia gravitazionale (negativa), per supportare la creazione della materia, in modo tale che nella sua fase iniziale – quando esso è ridotto virtualmente a un punto – l’Universo non conterrebbe alcunché, essendo il processo di inflazione a determinare la creazione, dal “nulla”, di tutto il contenuto di materia e ra­diazione che oggi esiste. Lo stesso processo darebbe luogo a un unico insieme di leggi fisiche possibili, consistenti con la dinamica di tale processo, senza tuttavia spiegare secondo quale meccanismo ciò avverrebbe.

In questa concezione, conformemente a quanto proposto da Hawking, il tempo potrebbe iniziare a esistere solo successivamen­te alla nascita dell’Universo stesso. Per tale ragione, la probabilità che si manifesti un effetto tunnel quantistico in grado di dare vita all’Universo, non potrebbe essere considerata alla stessa stregua di una comune probabilità (generalmente intesa) come quella, ad esempio, che descrive il de­cadimento di un atomo radioattivo, dove il concetto di tempo assume un preciso significato in relazione alla manifestazione di un cambiamento dello stato fisico del sistema (il decadimento), che, a sua volta, presuppone la possibilità di definire un prima e un dopo. Per tale ragione, in un siffatto contesto cosmologico, il concetto di tempo deve essere opportunamente riformulato e considerato come associato alla possibilità puramente logica che si verifichino dei cambiamenti.

Con riferimento ai modelli cosmologici considerati, in ogni istante un nuovo Universo potrebbe sorgere dal nulla senza che questo fatto appaia logicamente contraddittorio. Se assumiamo, come indicato dal modello correntemente accettato, che tutta la materia (e l’antimateria) si sia formata in seguito all’evento denominato Big Bang, allora dobbiamo assumere – come già in precedenza sottolineato – che tali quantità fossero inizialmente equivalenti. Ma se ciò è vero, sarebbe forse possibile accettare l’idea secondo la quale, ad esempio, l’antimateria sia in realtà “confinata” in una regione dell’Universo a noi inaccessibile e che la sua quantità risulti in definitiva confrontabile con quella della materia osservata? Tutte le tracce dell’antimateria osservata sembrano riconducibili alla sua “creazione” transitoria, in seguito a processi d’interazione nei quali è coinvolta la materia ordinaria e, in particolare, all’interazione dei raggi cosmici con l’atmosfera terrestre.

Tutta una serie di evidenze sembrano inoltre indicare che – fatta eccezione per le particelle di antimateria generate da processi di natura astrofisica, fino a distanze di molte centinaia di milioni di anni – la totalità della materia osservata sia composta da materia ordinaria. Ciò significa che, se accettiamo la teoria del Big Bang, dobbiamo ammettere che negli istanti immediatamente successivi ad esso le quantità di materia e antimateria, inizialmente uguali, possano essere state differenti e che, di conseguenza, la “grande annichilazione” avvenuta subito dopo abbia lasciato dei “superstiti” ovvero particelle composte di materia, che avrebbero poi dato “vita” all’Universo osservabile. Se ciò è vero, dobbiamo accettare l’idea che, prima del processo di annichilazione, un qualche altro tipo di fenomeno fisico, ancora sostanzialmente sconosciuto, sia intervenuto facendo pendere il piatto della bilancia, sebbene di una quantità piccolissima (dell’ordine di una parte su dieci miliardi), verso la materia. Qualcosa deve rendere, cioè, la materia diversa dall’antimateria.

La soluzione dell’enigma potrebbe derivare dall’analisi del ruolo svolto da un’altra particella elementare, forse la più enigmatica ed elusiva di tutte: il neutrino. Una delle caratteristiche più intriganti e affascinanti dell’antimateria, è stata messa in evidenza da R. Feynman, il quale avanzò l’ipotesi dove un’antiparticella potesse essere considerata effettivamente come una particella che si sposta “all’indietro nel tempo”. L’antimateria parrebbe dunque essere caratterizzata da proprietà anco­ra più esotiche, tanto che osservare il moto di un positrone equivarrebbe a osservare un elettrone proveniente dal futuro.

Come possiamo concepire quindi lo spazio tempo oggi?

Il concetto di tempo è probabilmente uno dei più complessi e controversi di tutta la Fisica; potremmo affermare, in un certo senso, che per la maggior parte della materia (inclusa quella vivente), il tempo possa essere conside­rato alla stregua di un’illusione determinata dalle leggi del caso, quando si considerano sistemi composti da un grandissimo numero di particelle. Il principio dell’aumento dell’entropia per tali sistemi determina quindi la percezione del fluire del tempo ossia della cosiddetta “freccia del tempo”. Tuttavia, se si considera la dinamica delle singole particelle, a qualunque scala, indipendentemente dal sistema fisico macroscopico di cui fanno par­te le leggi fisiche che ne descrivono il comportamento, risultano invarianti (ossia non cambiano forma) se si inverte il verso del tempo (scambiando il passato con il futuro), circostanza che rappresenta il primo e più elementare tipo di simmetria riscontrabile nella realtà fisica. Inoltre, se considerassimo un sistema fisico che si evolve a ritroso nel tem­po e contemporaneamente ne osservassimo il moto in uno specchio, no­teremmo che nulla è cambiato rispetto al moto originale.

Nonostante l’apparente completa e assoluta simmetria tra materia e antimateria, esiste un caso in cui è possibile rilevare, abbastanza “facil­mente”, la differenza di comportamento tra queste: ci riferiamo al com­portamento della particella denominata Kaone neutro, la cui dinamica sembra in grado di fornire un criterio assoluto per distin­guere la materia dell’antimateria. Questa particella, costituita da un quark e un antiquark, risulta essere instabile e può de­cadere nella sua antiparticella, ovvero l’anti-K neutro.

Analogamente, la teoria prevede che un anti-K neutro possa decadere in un K-neutro, per via della trasformazione del numero quantico di sapore che caratterizza i quark e gli anti-quark costituenti. Se ci fosse totale e completa simmetria tra materia e antimateria, al livello profondo delle particelle subatomiche che costituiscono il mesone K (e, analogamente l’anti-K), allora la proba­bilità di occorrenza della trasformazione K in anti-K che dovrebbe risultare esattamente uguale alla probabilità della trasformazione inversa anti-K in K e le oscillazioni tra K in anti-K risultare assolutamente regolari. Tuttavia, una serie di esperimenti condotti al CERN nel 1998, ha evi­denziato una leggera differenza nella frequenza dei due processi di de­cadimento della particella K, dimostrando così l’esistenza di una sottile asimmetria tra materia e antimateria a livello di particelle elementari, ascrivibile alle diverse “famiglie” di quark esistenti e coinvolte nel proces­so considerato.

Tali considerazioni relate all’esistenza, in corrispondenza a un qualche li­vello fondamentale, di una possibile asimmetria tra materia e antimateria ci portano a riflettere su uno dei più profondi e ancora irrisolti enigmi della Scienza moderna, vale a dire l’assoluta prevalenza, almeno limitatamente all’Universo osservabile, della quantità di materia osservata rispetto all’antimateria.

La teoria dell’Universo Superluminale, proposto da lei, L.M. Caligiuri e dal Dr.T.Musha, offre un nuovo paradigma di descrizione della realtà, capace di estendere la nostra visione dell’Universo fisico, dandoci la possibilità di considerare la coscienza come la manifestazione di un diverso e nuovo tipo di materia. Questo presuppone un superamento delle attuali frontiere scientifiche?

La possibilità di concepire l’esistenza di particelle, massive o non, in grado di infrangere la “barriera” costituita alla velocità della luce nel vuoto, non è un fatto nuovo, ma risale al 1962 quando il fisico indiano G. Sudarshan ne ipotizzò l’esistenza, nell’ambito dei suoi studi sulla Teoria Ristretta della Relatività di Einstein. Lo stesso concetto fu ripreso nel 1964 da G. Fein­berg che, per indicare tali particelle, coniò il termine Tachione, per indicare una speciale categoria d’ipotetiche particelle caratterizzate da una velocità sempre superiore a quella della luce. In seguito, la teoria dei Tachioni fu svi­luppata in maniera sistematica dal fisico italiano E. Recami, che, basandosi su un’opportuna generalizzazione della Relatività Speciale di Einstein, ne ha evidenziato molteplici e interessanti proprietà.

Tuttavia, negli anni a venire, la teoria dei Tachioni e, più in generale, qualsiasi possibilità di ammettere l’esistenza del moto superluminale, fu ferocemente osteggiata dalla Fisica cosiddetta di “mainstream”, i cui fautori si arrogavano immotivatamente il diritto di deciderne, forse più sulla base delle conseguenze che una posizione controcorrente avrebbe avuto sulla loro carriera accademica, piuttosto che sulla comprensione di ciò che in realtà la Scienza sia e debba effettivamente rappresentare: l’insostenibili­tà, sulla base della semplicistica quanto ingiustificata considerazione che l’ammetterla avrebbe comportato una violazione di alcuni principi fonda­mentali della Fisica (quale, in primo luogo, il principio di causalità) e della Teoria Ristretta della Relatività formulata da Einstein, a dispetto di una serie di fondate evidenze sperimentali, ottenute da differenti gruppi di ricerca, nell’ambito di esperimenti di tipo diverso, a sostegno di tale ipotesi.

Tali evidenze sono state recentemente riconsiderate e reinterpretate, at­traverso il modello da me proposto nel volume dal titolo “The Superluminal Universe: from Quantum Vacuum to Brain Mechanism and Beyond”, che riporta i risultati delle ricerche compiute in questo campo presso il Foundation of Physics Research Center (Fo­PRC), in cui si dimostra che in realtà non soltanto il moto superluminale è potenzialmente in grado di rispettare tutti i principi fondamentali della Fisica, ma che esso può essere considerato addirittura come la naturale con­seguenza della dinamica coerente del Vuoto Quantistico. Con riferimento al fenomeno della sonoluminescenza, in particolare, tale modello prevede che, durante il collasso della bolla, dopo il raggiungimen­to della densità critica e l’avvio della transizione di fase quantistica dal falso vuoto (il PGS) verso il vero vuoto (CGS), all’interno dei domini di coeren­za si abbia la formazione di un campo di fotoni superluminali. Il “decadimento” di tali fotoni è in grado di originare a sua volta un cam­po tachionico ossia mediato da particelle superluminali massive, dal moto delle quali può avere origine un tipo particolare di radiazione, noto come radiazione di Cherenkov, dal nome del fisico russo che ne scopri l’esistenza e le proprietà nel 1958.

Questa rappresenta una particolare radiazione elettromagnetica che si ori­gina in un dato mezzo, quando una particella carica si muove, al suo inter­no, a una velocità superiore a quella della luce, determinandone la tempora­nea polarizzazione e la successiva emissione di radiazione elettromagnetica conseguente al ritorno del mezzo alla sua condizione di equilibrio. Il mo­dello teorico basato sulla dinamica coerente del Vuoto Quantistico e sulla conseguente emissione di radiazione Cherenkov è in grado di riprodurre le principali caratteristiche tipicamente osservate negli esperimenti di so­noluminescenza e inoltre, in particolare, la scala temporale, estremamente ridotta, degli impulsi luminosi generati dalla bolla. I risultati ottenuti, mostrano inequivocabilmente come la dinamica coerente del Vuoto Quantistico e le sue implicazioni relative al moto superluminale (Capitolo 5 – Creare energia dal suono), siano ancora una volta in grado di fornire una spiegazione soddisfacente a fenomeni sostanzialmente inspiegati e inspiegabili attraverso il paradigma comunemente accettato della Fisica teorica moderna. Nel caso della sonoluminscenza, tali risultati e quelli derivanti dagli espe­rimenti, evidenziano inoltre la capacità, da parte di tale fenomeno, di ge­nerare temperature straordinariamente elevate, perfino comparabili con quelle raggiunte all’interno delle stelle e quindi tali da produrre sorgenti localizzate di elevata energia, potenzialmente in grado di indurre reazioni nucleari all’interno di acqua “pesante” o di liquidi “deuterati”. Ciò suggerisce, infine, un metodo concreto di estrarre energia utilizzabile dal Vuoto Quantistico e la possibilità di avere accesso, dunque, in un pros­simo futuro a una sorgente di energia libera e illimitata.

David Bohm affermò: “Nonostante la sua apparente solidità, l’Universo è un fantasma, un ologramma gigantesco e splendidamente dettagliato (…) le particelle subatomiche restano in contatto, indipendentemente dalla distanza che le separa (…) la loro separazione è un illusione” . Secondo Pribram, la corteccia cerebrale giocherebbe un ruolo analogo a quello del raggio laser, nel caso dell’olografia, in modo tale che, agendo nel dominio delle frequenze denominate frequenze “spaziali”, restituirebbe, a partire da uno schema d’interferenza, le “immagini” quadridimensionali che corri­spondono agli oggetti fisici a tre dimensioni che percepiamo nel nostro spazio-tempo. L’ordine di tipo spazio-temporale, quello di natura non-locale, così come gli altri, è soltanto una costruzione del nostro cervello?

Il concetto di “ordine” sottointeso da Pribram, risulta essere altresì alla base del modello di realtà proposto dal fisico inglese D. Bohm, secondo il quale esistono soltanto due tipi di ordine: quello implicato e quello esplicato. Nel primo tipo di ordine non esiste differenza tra mente e materia, mentre nel secondo questi costituiscono due realtà distinte. Se un fenomeno è de­scrivibile in termini di Fisica quantistica, l’ordine implicato prevale, mentre in un sistema descritto dalla Fisica classica, il ruolo fondamentale è giocato dall’ordine esplicato. Secondo la teoria di Bohm, la coscienza sarebbe as­sociata all’ordine implicato, nel quale le particelle risulterebbero “informate”, tramite il collasso della funzione d’onda, coincidendo dunque tale processo di “informazione” con l’ordine implicato stesso.

La teoria dell’ordine impli­cato assume, in un certo senso, che ogni particella materiale contenga una forma elementare di coscienza e che il processo di in-formazione, conse­guente al collasso quantistico della funzione d’onda, realizzi la connessione tra le proprietà “mentali” e materiali delle particelle. Più specificamente Bohm definisce, per un sistema di particelle, una funzione matematica, denominata potenziale quantistico, che rappresenta una proprietà intrinseca del sistema stesso. Questa consisterebbe in una sorta di “informazione attiva” che, stabilendo una correlazione non-locale, sarebbe in grado di “guidare” le particelle in un moto ordinato. Bohm considera quindi tale potenziale quantistico come una proprietà “mentale” della materia che si rivela sostanzialmente a livello quantistico sotto forma di moto delle particelle.

Nel modello da lei proposto assieme al professor Musha, l’Universo Superluminale è considerato come uno stato fisico composto da pura informa­zione, si può supporre che sia un altro stato della realtà?

Similmente alla visione pro­posta da Platone nel “Mito della caverna” – secondo il quale l’anima è in real­tà imprigionata nel corpo materiale che, dopo la morte, ritorna alle sue ori­gini – e la realtà quindi sperimentata dagli uomini altro non è che un’illusione e un riflesso di una realtà più fondamentale (il cosiddetto “mondo delle idee”), situato nell’Universo “fondamentale” (l’Iperuranio), nell’Universo subluminale, l’aumento costante dell’entropia, imposto dal secondo principio della termodinamica, corrisponde all’esperienza di un flusso lineare del tempo, mentre, viceversa, nello spazio-tempo superlu­minale, in cui il tempo assume una dimensione esclusivamente “spazia­le”, l’entropia diminuisce costantemente, determinando così un aumento dell’informazione fisica presente.

In questo senso, nella dimensione super­luminale, tutti i possibili eventi esistono simultaneamente e la causalità, nel senso comune del termine (ossia di ordinamento temporale di causa ed effetto), è sostituita dal concetto più generale e universale, di correlazione. L’Universo Superluminale, composto di pura informazione, potrebbe esse­re considerato effettivamente come un diverso e più fondamentale livello di realtà in cui lo spazio e il tempo acquistano un significato differente da quello che sperimentiamo usualmente e che costituirebbe il vero e ultimo dominio della mente e della coscienza costituita di conseguenza da “ma­teria” superluminale.

A partire dalla dimensione della coscienza superluminale, sarebbe possi­bile generare, tramite l’azione mediatrice del cervello, tutti gli altri livelli della realtà che ne rappresenterebbero delle semplici “proiezioni” su uno spazio-tempo differente. Tale modello, basato su solide basi di carattere fisico e matematico, lungi dall’essere una semplice astrazione concettuale, potrebbe quindi effettivamente rappresentare una risposta, per quanto ov­viamente ancora soltanto preliminare e provvisoria, alla nostra domanda iniziale sul significato della morte in relazione alla dinamica della mente e della coscienza.

Le domande sulle quali da sempre l’uomo s’interroga sono: chi siamo e da dove veniamo? Qual è l’origine ultima dello spazio, del tempo e della materia? La realtà che sperimentiamo è “solo” una creazione della nostra mente (o di un’eventuale Mente universale) o esiste in qualche modo “lì fuori”, indipendentemente dalla presenza di uno o più osservatori coscienti?

A tali domande fondamentali non esiste ancora una risposta definitiva, tutta­via, negli ultimi decenni la Scienza, e in modo particolare la Fisica, sono state in grado di fornire una serie di indizi che hanno permesso di gettare le basi per la ricerca di una possibile soluzione a tali enigmi. Nondimeno, nonostante gli sforzi profusi in tale direzione, la visione comunemente accettata delle teorie fisiche, in grado di affrontare tali questioni, si trova in condizione di sostan­ziale stallo, soprattutto a causa della sua incapacità nel fornire una visione unificata della realtà, dalla scala microscopica (la dinamica dei sistemi fisici su scala atomica e subatomica), descritta dalla meccanica quantistica (e dalla sua estensione relativistica rappresentata dalla teoria quantistica dei campi o QFT), a quella macroscopica (la scala degli oggetti di esperienza quotidiana fino a quella dell’Universo stesso), oggetto della Teoria della Relatività (ToR). Appare oramai evidente che l’incapacità, nonostante i numerosi tentativi di costruzione di una Teoria di Campo Unificato o di quella della cosiddetta Gravità Quantistica, di unificare i due importanti impianti teorici della Fisica moderna ovvero proprio la meccanica quantistica e la teoria della relatività, in uno schema concettuale unitario, capace di spiegare l’origine della materia e la sua evoluzione dinamica, la nascita della vita ma anche fenomeni come la coscienza e le straordinarie capacità della mente umana.

Le numerose evidenze sperimentali relative alle esperienze ACE mostrano come la mente (o la coscienza) possa continuare a esistere e operare durante la fase di morte clinica. Tali risultati sono stati ulteriormente confermati nell’ambito del recente progetto scientifico internazionale, denominato AWARE (acronimo di “AWAreness durin REsuscitation” ovvero “Coscienza durante la Riani­mazione”), coordinato dal dottor Sam Parnia, condotto su pazienti prove­nienti da 25 Ospedali sparsi tra il Regno Unito e gli USA e tuttora in corso di svolgimento. Qual’ è la sua visione?

Un problema fondamentale, relativo all’interpretazione delle ACE, riguar­da in particolare la natura delle memorie corrispondenti a tali esperienze e come e “dove” queste si possano “conservare” in assenza di attività ce­rebrale. Assumendo infatti come valido il modello tradizionale adottato dalle neuroscienze, dovremmo ritenere che queste abbiano origine e sede in determinate aree del cervello opportunamente attivate da processi elet­trochimici, in evidente contrasto con la constatazione clinica dell’inattività cerebrale durante l’intervallo di tempo di occorrenza delle ACE. D’altra parte è innegabile che il cervello giochi un ruolo primario nella manifestazione della coscienza come ampiamente dimostrato dalla cor­relazione tra i processi mentali e l’attivazione di aree più o meno estese della corteccia cerebrale, evidenziata sperimentalmente. Ma tutto ciò non è assolutamente sufficiente né equivalente, dal punto di vista scientifico, ad affermare che sia il cervello a originare la coscienza.

Nella dinamica dell’Universo Superluminale, durante la morte clinica, cor­rispondente all’assenza di attività cerebrale, si manifesterebbe una sorta di transizione di “fase” della coscienza, dalla dimensione subluminale (in cui questa, tramite l’azione del cervello, costruisce gli ologrammi dello spa­zio-tempo quadridimensionale usuale) a quella superluminale, nella quale essa è costituita da pura informazione a-temporale. In tale dominio, la memoria è pertanto conservata sotto forma d’informazione e pronta, qualora la ri­animazione del soggetto abbia successo (e ovviamente in assenza di dan­no irreversibile delle cellule cerebrali), a essere nuovamente decodificata e proiettata dal cervello, ora nuovamente funzionante, nella dimensione spazio-temporale dell’Universo subluminale.

Non sappiamo ancora se tale modello fisico di realtà, ancora in fase em­brionale e di frenetico sviluppo, benché in grado di fornire, forse per la pri­ma volta, una spiegazione in termini scientifici di alcuni dei più importanti tratti caratteristici delle ACE, possa costituire una risposta definitiva alla nostra domanda primordiale sul significato della morte, ma certamente potrebbe costituire un interessante passo avanti nella comprensione di uno dei più grandi e fondamentali misteri dell’esistenza umana.

Tutte queste evidenze suggeriscono che la coscienza non possa essere con­siderata come una “semplice” manifestazione della corteccia cerebrale, ma che essa sia caratterizzata da un’esistenza propria, probabilmente afferente a un livello più profondo della realtà e in grado di interagire con la materia. Ciò indica che la coscienza potrebbe avere essa stessa una connotazione materiale?

Di quale tipo di materia possa trattarsi e a quale dinamica essa risponda è una domanda tutt’altro che semplice a cui rispondere. Senza dubbio, in quest’ultimo caso, essa dovrebbe essere costituita da una forma di materia avente caratteristiche spazio-temporali specifiche, del tutto differenti da quelle tipiche della materia che conosciamo (del resto, in Fisica, l’ipotesi dell’esistenza di materia di tipo non barionico non è nuova, basti considerare l’idea della materia oscura introdotta per rendere con­to della velocità di espansione dell’Universo derivante dalle osservazioni astronomiche) e probabilmente non appartenente allo spazio-tempo de­scritto dalle teorie fisiche comunemente accettate. Ma come avverrebbe dunque l’interazione tra tale livello della realtà, con­tenente la coscienza, e la materia ordinaria di cui è fatto il nostro cervello? L’ipotesi più ragionevole è che questa possa manifestarsi in corrispondenza all’interfaccia tra questi due livelli di realtà ad opera, verosimilmente, della corteccia cerebrale e del sistema nervoso. Secondo questa visione, dunque, le strutture nervose superiori agirebbero in maniera simile a uno strumento rivelatore (un analizzatore di spettro o un dispositivo similare), in grado di decomporre un segnale nelle sue componenti di frequenza, evidenziandone così la sua reale composizione, nello stesso modo di un prisma che scompo­ne la luce bianca, rifrangendola nei diversi colori dello spettro.

Ciò che esiste è emerso dal nulla senza una particolare ragione o è, al contrario, il risultato della creazione attuata da un’entità superiore, sia essa un Dio o più in generale un Principio primo di natura impersonale? Potrebbe essere Dio la causa e la spiegazione della sua stessa esistenza? E se Dio avesse in se stesso gli attributi e le caratteristiche della ragione della sua stessa esistenza, non potrebbe essere così per l’Universo stesso nella sua interezza ossia potrebbe il Cosmo contenere in se stesso la giustificazione della sua esistenza ed essere quindi autogenerato in modo completamente necessario e inevitabile secondo quanto prescritto da un dato insieme di leggi della Fisica? Oppure l’Universo esiste senza una particolare ragione e da un tempo infinito?

Queste sono le domande fondamentali alle quali l’Uomo, attraverso la Filosofia, la Religione e soprattutto la Scienza, cerca da sempre di trovare risposta. È indubbio che una possibile soluzione a tali quesiti presupponga una specifica visione della realtà nella sua interezza e, in particolare, di ciò che chiamiamo “Universo”. Fino a non molto tempo fa si pensava che l’Universo coincidesse con il Cosmo osservabile (tecnicamente quello contenuto entro il nostro “orizzonte” ovvero la porzione a noi accessibile tramite le osservazioni), ma le teorie cosmologiche basate sulla meccanica quantistica hanno rivoluzionato tale paradigma, permettendo l’introduzione del concetto di “Multiverso” ossia di un modello in cui la totalità di ciò che esiste sarebbe costituita da un insieme, contenente un numero potenzialmente infinito di elementi, composto da regioni di spazio-tempo immense, ciascuna delle quali corrispondente a uno specifico “Universo”.

Oppure, come altri hanno proposto, sia noi osservatori coscienti, sia tutta la realtà in cui siamo “immersi”, saremmo “semplicemente” il risultato di uno schema di attività (o, in altre parole, di un insieme di algoritmi), eseguito da un ipercomputer (quantistico) che “simulerebbe” l’esistente. O, ancora, dovremmo preferire una rappresentazione dell’Universo simile a quella propria da molte Religioni, secondo la quale questo sarebbe una “struttura” o uno “schema” creato da una divinità infinita e onnipotente? Probabilmente, il concetto di una realtà che si auto-giustifica e si autogenera è quello a primo acchito più difficile da comprendere, ma che appare per molti versi più vicino all’impostazione suggerita da diversi modelli cosmologici. Ciò è dovuto alla naturale e logica tendenza nello spiegare un concetto o un fatto, ricorrendo a un altro concetto o fatto e così via, conducendo così all’impossibilità di giungere a un punto finale della catena logica, in cui il passaggio precedente sia il nulla assoluto. Ma le cose stanno proprio così o si può ammettere che la realtà possa effettivamente autogenerarsi dal nulla assoluto, ossia dall’assenza non solo di ciò che esiste ma anche di qualsiasi realtà possibile? Tale conclusione appare ragionevolmente non sostenibile.

Dobbiamo rilevare, a questo punto, che qualsiasi considerazione sull’origine di ciò che esiste, non può non tenere conto della differenza tra ciò che possiamo considerare puramente reale e ciò che invece si manifesta effettivamente nella realtà. Ad esempio la definizione dell’operazione aritmetica 2+2=4 può essere senza dubbio considerata come reale, ma ciò è sufficiente a concludere che essa esista nella realtà? Tale questione, in verità estremamente profonda, si riferisce alla differenza tra ciò che è logicamente possibile e ciò che, essendo logicamente possibile e non contraddittorio, si manifesta effettivamente sotto forma di oggetti e/o fenomeni reali sperimentabili nell’Universo.

In virtù di tale differenza, sembrerebbe possibile assumere che non tutto ciò che possiamo considerare reale dipenda o si basi o implichi l’esistenza di entità reali, escludendo, in tal modo, la sussistenza di una manifestazione dell’esistente, basata su un principio di necessità a partire da entità logicamente reali. Ciò potrebbe implicare, in particolare, che la domanda da cui siamo partiti – “perché esiste ciò che esiste ?” – non abbia necessariamente una risposta definita, ammettendo così la possibilità che l’Universo esista senza una ragione specifica.

D’altra parte, da un punto di vista prettamente logico, appare ovvio che uno scenario caratterizzato dalla presenza di entità reali risulti più probabile del nulla assoluto, per il semplice fatto che il primo può manifestarsi in una moltitudine di modi, in contrasto con il secondo. Tuttavia, tale argomentazione logico-formale non è ovviamente sufficiente a fornire di per sé una risposta esauriente ai nostri interrogativi di partenza e, soprattutto, a spiegare la complessità, varietà, ordine e armonia dell’Universo. Per tentare di dare riposta a tali profondi interrogativi è necessario allora entrare nel dominio della Fisica fondamentale e della Cosmologia, analizzando alcune tra le più significative teorie sinora elaborate.

Ha parlato di Multiverso e la fantascienza in passato, spesso e volentieri ha preso spunto dalle più svariate teorie. Al giorno d’oggi alcune sono state confutate, ma altre hanno condotto a nuove sperimentazioni e teorie. Trovandoci oggi di fronte al fallimento della Fisica molecolare, possiamo oggi parlare con la Fisica quantistica di “Universi paralleli”?

Il concetto di Universi “paralleli” o “Multiverso” – ovvero di un insieme costituito da gigantesche regioni cosmiche, ampiamente o completamente disgiunte tra loro – costituisce il presupposto di diverse varianti di modelli cosmologici particolarmente interessanti. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la considerazione della possibile esistenza di Universi paralleli non contrasta con il principio di economia scientifica, noto come “rasoio di Occam” (secondo il quale le entità adoperate nella descrizione di un sistema fisico non devono essere moltiplicate senza che ve ne sia la necessità), in quanto sarebbe strano se il meccanismo di creazione dal nulla dell’Universo operasse una e una sola volta (dando cioè origine a un Cosmo unico).

Sarebbe strano se diversi Universi possono esistere nelle forme più semplici di numerose teorie fisiche, come le oscillazioni cosmiche, l’inflazione continua (secondo la quale il nostro Universo non sarebbe altro che una regione del Multiverso in cui l’inflazione è terminata o risulta estremamente rallentata); le fluttuazioni quantistiche di ampie porzioni di spazio; gli Universi creati per effetto tunnel del vuoto (modello di Vilenkin) e infine gli Universi come regioni all’interno del paesaggio cosmico descritto dalla Teoria delle Stringhe o gli Universi descritti dalla “Teoria Quantistica dei Molti Mondi. In particolare quest’ultima, inizialmente proposta da H. Everett, prevede che la funzione d’onda quantistica che descrive l’Universo subisca un processo continuo di differenziazione (ramificazione), in corrispondenza di tutti i possibili eventi permessi dalla teoria quantistica, dando in tal modo origine a Universi paralleli, ciascuno corrispondente a una diversa alternativa, che si evolvono in maniera del tutto autonoma e indipendente gli uni dagli altri, generando così, in breve tempo, uno spazio delle fasi di dimensioni abnormi. L’essenza concettuale della teoria dei Molti Mondi è legata alla profonda ed essenziale questione del rapporto tra coerenza logica ed esistenza reale degli elementi della Realtà, alla quale si faceva cenno in premessa.

Da un punto di vista puramente formale, infatti, tutti gli Universi matematicamente e logicamente non contraddittori, potrebbero esistere nella realtà, in quanto non vietati nell’ambito del Multiverso. Tuttavia, d’altra parte, una grande quantità di tali strutture matematiche (virtualmente un numero infinito), sarebbero caratterizzate da un’enorme complessità, apparendo peraltro totalmente differenti dal nostro Universo caratterizzato, invece, da leggi fisiche in generale “abbastanza” semplici da poter essere individuate e descritte attraverso relazioni matematiche non particolarmente complesse. D’atra parte, se tutte le strutture matematicamente non contraddittorie esistessero, in realtà sarebbe possibile, secondo alcuni studiosi, che in qualsiasi istante di tempo una o più regioni dell’Universo compiano una transizione verso uno stato “disordinato”, dal momento che quest’ultimo risulterebbe sempre più probabile rispetto a una configurazione più ordinata.

La teoria del Multiverso, sebbene tuttora controversa, permette tuttavia di affrontare in maniera adeguata la cosiddetta questione della “regolazione fine” dei parametri che caratterizzano l’Universo in cui viviamo, che risulta, in particolare, talmente speciale da supportare l’esistenza di osservatori intelligenti.

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