Siamo diventati degli esseri estremamente pericolosi per la nostra sopravvivenza e per la sopravvivenza di tutto ciò che esiste sulla faccia della Terra e quindi la nostra coscienza sta per cosi dire reagendo, per salvaguardare noi stessi, per farci uscire da quella prigione nella quale ci troviamo incapsulati e che noi vagamente chiamiamo ignoranza, per diventare consapevoli di ciò che noi siamo, per capire nella profondità massima che cosa vuol dire la parola ‘amore’.
Vittorio Marchi, dal docu-film Another World (Un altro mondo, 2013) di Thomas Torelli
Vittorio Marchi, docente di Fisica e stimato ricercatore, nacque a Roma il 30 luglio 1938. Negli anni della sua maturità, alla Normale di Pisa, conobbe e frequentò l’ingegnere Enrico Fermi, suo compagno di stanza e di studi. Da allora concentrò le proprie indagini scientifiche, indagando una qualità speciale della materia: lo Spirito. Il professor Marchi si è spento nel 2017, lasciando l’eredità delle sue vaste conoscenze, grazie al pregio dei suoi numerosi scritti, delle tante interviste rilasciate e di ciascuno dei suoi apprezzati interventi in Convegni e trasmissioni televisive. Vogliamo ricordarlo con un omaggio antologico a cura di Margherita Chiara Immordino Tedesco, per offrire ai Lettori spunti interessanti, nel tentativo di riproporre tratti salienti del suo pensiero, permeato dei suoi caratteri distintivi e volti a ricomprendere anche antichissime tradizioni filosofiche e mistiche. Un pensiero frutto di instancabili ricerche, a sua volta abbracciato e sviluppato da altre personalità del mondo scientifico e culturale.
Con la Fisica quantistica non facciamo altro che riesumare e confermare delle millenarie conoscenze andate perdute e che adesso stiamo a poco a poco, riacquistando… fortunatamente”, per appropriarcene di nuovo.
La società attuale – specie quella occidentale e comunque le regioni più industrializzate del mondo – è andata via via a configurarsi come sempre più omologata a degli standard e a dei condizionamenti che ne hanno reso le rispettive popolazioni pressoché immobilizzate e immobili, soggiogate da orientamenti di consumo assunti in preda a una sorta di inerzia acritica. Viviamo tempi e dinamiche imperativamente scandite da macchine costruite da noi stessi: dalla sveglia, all’automobile, ai computer, sino a tutta la vasta gamma di apparecchi e dispositivi elettronici di ogni sorta – con la televisione ormai superata nell’uso, dall’abuso dei cellulari e/o tablet di ultima generazione – che si fa quasi una gara ad accaparrarsi per primi e che sono capaci di intrattenerci in modo per lo più passivo e, soprattutto, di non farci riflettere, trincerandoci in gabbie virtuali.
Con il calendario, l’uomo ha predisposto un tempo convenzionale, in quanto “concordato a tavolino”. Il che, per mezzo di misurazioni pur necessarie, ma che, in effetti, non sono riconducibili in senso stretto allo scorrere del tempo naturale e che ne hanno oltretutto mercificato il significato, alimentando la convinzione in forza della quale oggi vige come non mai il binomio tempo uguale denaro. Il che è ancor di più un paradosso, perché per un verso l’avanzare della tecnologia sta facendo morire tante professioni, per l’altro, invece, si dovrebbe approfittarne per lavorare meno e meglio, riguadagnando spazi individuali per guardarsi meglio intorno, capire più a fondo i fenomeni circostanti e magari godersi la propria vita con i propri affetti. Pare invece che i vari sistemi di comunicazione di massa siano informati alla tendenza di far sentire la gente soverchiata dal peso di paure pressanti e incessanti. Vengono presentati puntualmente nuovi nemici e incombenti avversità, in un panorama di crisi diffusa e quotidianamente declamata, che genera un clima repressivo e opprimente, denso di ansietà continua e di continua insufficienza, inadeguatezza e inappagamento. La mente delle persone viene perciò suggestionata a prefigurare la felicità come dipendente da bisogni indotti, desideri superflui e comunque da mire sempre più complicate da potersi realizzare, sia che si tratti dell’accumulare oggetti, che persino persone e sentimenti.
Nell’Occidente industrializzato, i più sono portati a vivere ancorati alle angosce del passato – ricordo nostalgico o struggente rimpianto che sia – oppure a proiettarsi prematuramente nel futuro, per cui quasi nessuno riesce ad abitare appieno il presente, l’unica dimensione che di fatto si abbia a disposizione, come già insegnato nell’antichità. Ciò non permette un’armoniosa sintonia con tutto quello che di buono, bello e gratuito esiste, come invece ci rammentano i bambini. A rendere l’idea, basti il valore di una passeggiata rigenerante nella natura, respirando e ammirando la diversità stupefacente che l’ambiente propone, con una generosità in grado di profondere quel senso di gioia autentica che dimora già nelle cose semplici. Si è invece andata progressivamente perdendo la capacità di percepire e di cogliere l’armonia di quello che i latini definivano lapidariamente hic et nunc ovvero del “qui e ora”. Tutto nasce perfetto così come già è. È la mente a volte a tenerci celata tale perfezione innata, frapponendo fra noi ed essa delle sovrastrutture artificiali e artificiose. Persino un film d’animazione Dreamworks-Universal picture riferisce come nella lingua inglese con il termine present s’identifichino sia il concetto di regalo che quello di tempo attuale: “Ti preoccupi troppo per ciò che era e ciò che sarà. C’è un detto: ieri è storia, domani è un mistero, ma oggi… è un dono. Per questo si chiama presente”. Il presente viene così offerto, appunto, come un regalo che l’eternità ci dispensa, momento per momento.
Molti Popoli primitivi – dai Maya ai Navajo, dagli Apache ai Sioux – vedevano in ogni cosa lo Spirito divino animato: in un minerale come in una montagna, in una foglia d’erba come in un albero, in un fiume come in un lago o in un mare. Tutto lo rispecchiava, tutto era animato, nulla poteva quindi dirsi morto. Con la Fisica quantistica oggi si sta riscoprendo la validità di tale concezione olistica. Persino ciò che appare invisibile è invece essenza intelligente e vibrante. Come anche comune a tutte le Religioni, si sta finalmente ritornando a comprendere che Gaia – il pianeta vivente (nome che deriva da quello dell’omonima divinità greca, nota anche come Gea) – non è di nostra proprietà semmai è in eredità e soprattutto in prestito – e, al contrario, siamo noi che le apparteniamo e che dobbiamo pertanto rispettarla e custodirla come una suprema madre, alla quale si deve tutta la dedizione e la cura. Cura che è auspicata da sempre più parti, in tutta la sua urgenza, per un recupero del senso di sacralità del tutto, ormai indispensabile a cercar di sanare i gravi danni arrecati al Pianeta e alle sue risorse, che stanno esaurendosi. Prima della oramai famosa sedicenne svedese Greta Tintin Eleonora Ernman Thunberg, vogliamo ricordare una sua celebre antesignana canadese Severn Cullis-Suzuki, dodicenne che al primo Summit della Terra, tenutosi nel giugno1992 a Rio de Janeiro, ottenne l’attenzione delle Nazioni Unite – e commosse tutti – con un indimenticabile discorso di quasi sette minuti. Ricordava ai “grandi” lì riuniti: “Quando avevate la mia età, vi preoccupavate forse di queste cose? Tutto ciò sta avvenendo sotto ai nostri occhi e nonostante questo continuiamo ad agire come se avessimo a disposizione tutto il tempo che vogliamo e tutte le soluzioni…” e culminava con la quanto mai efficace frase: “Se non sapete come riparare tutto questo, per favore, smettete di distruggerlo”.
L’unica possibilità di salvezza in tal senso, dunque, deve tuttora partire da coloro che compongono questa frenetica società nella sua fisionomia attuale, con una volenterosa e drastica inversione di tendenza. Occorre prendere coscienza, affrancarsi da un’esistenza interessata alla sola produttività e ai consumi, guardarsi intorno e dentro, per capovolgere il processo di collasso, mirando a uno sviluppo reale, portatore di effettivo progresso innanzitutto umano, personale e quindi collettivo. Facciamo parte di un superiore disegno, che è quello del Creato tutto e questo Tutto è la vita palpitante nella Natura che ci circonda: un dono tanto accessibile, meraviglioso e inestimabile, quanto delicato.
Dalla scoperta dell’America è stato perpetrato il più vasto genocidio mai conosciuto: il massacro di circa cento milioni di nativi americani. Uomini che erano persuasi della centralità dell’essere umano, pur nella lucida consapevolezza del suo far parte, al pari e insieme con gli altri animali e con il mondo vegetale, di un’unica catena, di un unico uno. Una lezione “comodamente” dimenticata. Nel tempo, tale legame innato è stato praticamente disintegrato, determinando differenze e parcellizzando ogni elemento, il che ha procurato infelicità. Non ci si rispecchia quasi mai in ciò che sta attorno e se ne rimane anzi ben separati. L’acclamato premio Nobel (1965) statunitense Richard Phillips Feynman richiamava l’attenzione sul fatto che le regole del gioco fossero cambiate e non si potesse più continuare a concepire l’Universo come complesso di frammenti sparsi nello Spazio, ma come un tutt’uno.
In buona parte dell’Oriente si riconosce che Scienza e Spiritualità sono come due gambe che consentono all’uomo di avanzare verso la meta. Il metafisico o misticismo cammina di pari passo con la Fisica quantistica. La Fisica quantistica, la Fisica in generale, si è occupata della materia e poi, scavando e sondando all’interno della materia, è arrivata all’estremamente sottile. A quel punto lì ecco che misticismo e metafisica – perché metafisica significa oltre la fisica o fisica quantistica, perché le due cose poi finiscono per coincidere – si incontrano. Il che significa, detto in parole molto semplici, che Spirito e materia sono la stessa cosa, sono due aspetti di una stessa cosa e questa stessa cosa si chiama vibrazione. Allora, a fondamento di tutto, c’è la vibrazione. La vibrazione non ha attributi. Cosa potete dire? Che è larga, che è estesa, che è bella, che è brutta… è un “io sono” la vibrazione… e io sono quello. Il nostro ego non è un campo energetico concentrato in una forma. Noi siamo forma? L’Oceano è l’onda? Noi siamo il corpo? Io faccio, io dico, io invento, io scopro, io amo, io odio… non sono io che faccio tutto questo, tutto questo viene fatto attraverso di me. Da chi? Dall’IO totale. Possiamo noi dire io non respiro più? Possiamo farlo? Se il tutto è dettato dal nostro ego, siamo così potenti! Proviamo no a dire “io non respiro più”. Sono io a decidere di fare tutto questo o c’è qualcos’altro che agisce attraverso di me? Non ci poniamo mai la domanda dell’IO SONO? C’è qualcosa dietro di me che fa tutto questo? Tutto quello che avviene, agisce attraverso di noi e la cosa stupenda, incredibile, difficilmente assimilabile, è che ciascuno di noi è contemporaneamente agente e agìto, osservatore e osservato, padre e figlio, seme e albero, individuo singolo e contemporaneamente tutto. Siamo per così dire tutto è il contrario di tutto, contemporaneamente […] Io sono un Cosmo individualizzato… Io sono il tutto.
Sincronicità, telepatia, unione indissolubile, al di sopra di spazio e tempo, principio unico ed eterno, legge universale… “amore”.Eraclito sosteneva: “è saggio dire che tutto è uno”. Si è perlopiù pensato che la realtà potesse essere invece scissa sotto due aspetti, che esistesse una mente esterna, un regista del Creato. “L’Universo è l’intera città dell’uomo”. Ciò che è l’osservato, attraverso una lunghissima evoluzione, è arrivato a coincidere con l’osservatore. Di ciò furono certi insieme il premio Nobel austriaco (1945)Wolfgang Ernst Paoli e Carl Gustav Jung. Per David Bohm, uno dei più eminenti fisici quantistici della storia – capace di conquistare con i suoi colloqui, senza inizio e senza fine, i pochi che avevano la fortuna di poterlo ascoltare – tutto è Pensiero. Nell’Universo non vi è nulla che abbia potere superiore del Pensiero. Con la parola pensiero possiamo esprimere il tutto, attribuendogli diversi nomi: energia, Dio… Un altro insigne fisico quantistico americano, John Archibald Wheeler, ha affermato che l’Universo non è altro che una struttura a partecipazione d’uomo, rintracciando nell’uno l’altro, nel Creato il Creatore e viceversa. Il problema si risolve: l’uno è l’altro. Svelato il mistero.
L’uomo è artefice della propria realtà, in quanto il pensante (causa) diventa pensato (manifestazione). Tali entità, fondendosi, formano il pensiero (psyché si può rendere dal greco anche nel senso di “sostanza smaterializzata”); il pensiero crea il pensato, che si riflette sul pensiero, mentre l’uno e altro sono lo stesso. Noi viviamo in una realtà confinata in uno spazio-tempo. Il nostro linguaggio relativo trova difficoltà a comprendere il concetto di infinito. L’amore è un campo energetico informativo-vibrazionale di carattere ubiquitario, perché è ovunque, in tutto ciò che è. Quando impari a vedere in ogni cosa il riflesso di te stesso non puoi che non amarti. Tutto è amore. Quando si comprende che la realtà è una e che non esistono separazione e distanza, che l’altrove non esiste, ma esiste l’ovunque, dappertutto, allora la comunicazione si trasforma in nozione simultanea, visione simultanea, come visione unitaria della vita, che sfocia nel “conosci te stesso” (monumentale iscrizione che campeggiava sul pronao del Tempio di Apollo a Delfi) e conoscerai così l’Universo e Dio.
Sappi che tutto il mondo è uno specchio. In ogni atomo ci sono cento Soli fiammeggianti. Se fendi il cuore di una sola goccia d’acqua, cento Oceani purissimi ne fluiranno. In un seme di miglio si cela un universo intero. Se scruti un granello di polvere, puoi scorgervi mille Adamo. Tutto è raccolto nel Presente e, da ogni punto di questo cerchio, vengono tratte migliaia di forme. Ogni punto, nel suo girare in tondo, è ora un cerchio, ora una circonferenza che gira.
Da “Il roseto del mistero” di Mahmūd – Ibn ‘Abd al-Karim Yahya – Shabestarī, poeta sufi persiano (1288 – 1340).