La presidente Margherita chiara immordino tedesco incontra il Prof.Marcello Spagnulo,(boarding di limes Ingegnere Aeronautico. Ha lavorato per trent’anni nel settore aerospaziale in Italia, Francia ed Olanda, sia presso aziende private sia presso agenzie governative, ricoprendo diversi incarichi manageriali. Nel corso della sua carriera ha pubblicato più di trenta articoli scientifici presentati a convegni internazionali. È autore del libro di divulgazione Lo Spazio oltre la Terra edito da Giunti, e del libro di testo Elementi di Management dei Programmi Spaziali edito da Springer- Verlag e tradotto in lingua inglese e cinese. È articolista per la rivista «Airpress», mensile per le politiche dell’aerospazio e difesa.)per parlare di un imminente progetto volto alla costruzione di un centro studi dedicato al mondo dell’intelligence economica e aereospaziale.
Nell’Europa del secondo dopoguerra il tema della cosiddetta “Intelligence Economica” è stato configurato in termini istituzionali dalla Repubblica francese, paese che a livello politico ha sempre espresso una grande attenzione alle analisi economiche e commerciali coniugandole attraverso la lente delle potenziali conflittualità tra Stati attuate anche tramite le aziende, quali veri e propri bracci armati delle istituzioni.
Negli anni Sessanta del secolo scorso il giornalista francese Jean-Jacques Servan-Schreiber divenne il teorico di ciò che oggi potrebbe definirsi “sovranismo economico-industriale”, e manifestò un’esplicita avversione a quella che riteneva essere una sempre più pervasiva avanzata economica e commerciale degli Stati Uniti nel continente europeo.
Servan-Schreiber era il direttore del settimanale L’Express, giornale che avversava politicamente il presidente Charles De Gaulle, e raggiunse fama e notorietà mondiale nel 1967 con il libro “Le Défi Américain” in cui enfatizzava il rischio e il pericolo di una colonizzazione, industriale ed economica della Francia e dell’Europa intera da parte degli Stati Uniti.
L’editore del libro ne aveva stampato 15.000 copie più per l’amicizia che lo legava all’autore che per intima convinzione commerciale, e invece il pamphlet vendette 2 milioni di copie in Francia e, tradotto in quindici lingue, 10 milioni di copie nel mondo.
In quel momento storico il libro colpì nel segno perché contraddisse la narrazione governativa gollista sulla ritrovata grandezza della Francia. Al contrario, l’autore teorizzò che il potere economico degli Stati Uniti fosse divenuto talmente grande da far correre alla Francia, e all’Europa, il rischio di veder annullata la propria sovranità e scivolare verso una vera e propria colonizzazione.
Egli utilizzò termini ed espressioni che diverranno poi ricorrente nei discorsi di molti politici francesi, da Mitterand, a Chirac e a Sarkozy, sino ai giorni odierni dove l’attuale esecutivo d’oltralpe annovera dei dicasteri in cui la parola “sovranità” è esplicitamente richiamata.
“Le Defi Americaine” fu pubblicato in un periodo storico particolare: due anni prima De Gaulle era stato rieletto ma le successive elezioni legislative si rivelarono un disastro per i gollisti che ebbero una maggioranza di soli tre voti all’Assemblée Nationale. Quel voto indebolì il presidente facendone intuire l’ormai prossimo declino.
Politicamente quella situazione risulta piuttosto similare a quella odierna, in quanto il presidente Macron rieletto per un secondo mandato, sconta però un’opposizione parlamentare maggioritaria nell’Assemblea a seguito di elezioni legislative a lui sfavorevoli.
Tornando al libro di Servan-Schreiber, bisogna riconoscere che la sua fortuna fu in gran parte dovuta al fatto che le teorie protezionistiche trovarono un terreno fertile presso quasi tutti gli attori politici dell’epoca. Infatti, ad esclusione del partito comunista ogni compagine politica vi trovò degli elementi di merito. I gollisti ne sostennero le teorie perché denunciavano l’egemonia americana; i filoeuropei perché si sosteneva la creazione di grandi gruppi su scala continentale capaci di contrastare i colossi americani; la “droite” perché c’era la critica alle “soluzioni burocratiche” tipiche della “gauche”; e quest’ultima perché si ritrovava nella netta critica ai gollisti come “politici lontani dalle istanze di cambiamento”.
Negli anni successivi, i presidenti Valéry Giscard d’Estaing e François Mitterrand useranno largamente le teorie di Servan-Schreiber innervando nel coté intellettuale francese quel sentimento di difesa, protezione e proiezione del milieu economico-industriale che poi nei primi anni Novanta trovò piena espressione nella Scuola di Intelligence Economica fondata da Christian Harboulot.
Nel 1991 mentre Mitterand sedeva all’Eliseo, Bernard Esambert “ancien” consigliere economico del presidente Pompidou, pubblicò il libro di successo “La Guerre économique mondiale” ponendo le basi per il famoso “Rapport sur l’Intelligence économique et stratégie des entreprises”, il dossier con cui lo Stato francese adottò una strategia per sviluppare una vera e propria comunità di Intelligence dedicata a supportare il sistema economico e industriale nazionale sui mercati mondiali. Quel dossier politico fu una tappa fondamentale per l’assetto istituzionale francese del settore, e fu elaborato da molti politici e analisti di prestigio tra cui il politologo Christian Harbulot, il quale nel 1997 fondò a Parigi l’École de Guerre Économique (EGE), istituto di ricerca e formazione tuttora esistente.
La EGE fu fondata alla fine degli anni novanta, ma le sue radici erano ormai piantate nello Stato francese da almeno due decenni. Fu infatti negli anni settanta che lo scontro politico-commerciale tra USA e Europa assunse esplicite forme in uno dei settori più strategici del dopoguerra, l’industria aeronautica e aerospaziale.
L’aviazione nel dopoguerra si avviava a essere un’industria fondamentale per il trasporto delle merci e delle persone, e per ogni paese il poter disporre di una capacità industriale e tecnologica di settore rappresentava un requisito fondamentale per crescere e prosperare.
Dopo il conflitto mondiale la potente industria dell’aviazione tedesca, che annoverava marchi importanti come Dornier e Messerschmitt, si risollevò dalle macerie venendo inglobata nella nascente, seppure fragile, industria franco-britannica. E così nomi gloriosi come Bristol, De Havilland, Bleriot, Renault Aviation e Snecma provarono a ricostruire insieme una nuova industria integrando il comparto tedesco con cui sino a pochi anni prima avevano combattuto un conflitto mortale. Lo sforzo fu politicamente imponente e in più scontò anche la temibile concorrenza delle aziende statunitensi. Boeing, Fairchild, Douglas, Martin, McDonnel, North American che avevano tutte beneficiato di investimenti governativi miliardari nel periodo bellico, e ora potevano proporre in tutto il mondo i loro prodotti militari riconvertiti a uso civile.
Fu così che il 29 maggio 1969 al salone aereonautico di Le Bourget presso Parigi, i governi di Francia, Germania e Regno Unito firmarono un accordo per la produzione del primo aereo di linea commerciale europeo. In gioco non c’era solo la competizione con i colossi americani ma anche la possibilità per l’Europa di sviluppare un’industria per il proprio futuro. Nacque così il costruttore aeronautico europeo Airbus, una società che venne poi trasformata in un gruppo di interesse economico (GIE) con sedi e stabilimenti nei tre paesi e con un numero di dipendenti destinato a crescere in maniera impressionante. L’Airbus otterrà il primo ordine commerciale due anni dopo, quando la Air France acquistò sei esemplari dell’aero di linea A-300 che effettuò il suo primo volo nel 1972.
La guerra commerciale tra i due poli aeronautici, europeo e statunitense, fu combattuta persino con strumenti realizzati per la Guerra Fredda contro l’Unione Sovietica. Per esempio, la rete segreta di intercettazione Echelon fu usata non solo per ascoltare le comunicazioni dei sovietici ma anche per ottenere informazioni riservate nell’ambito di segrete trattative commerciali per la vendita di aeroplani di linea nei lucrosi mercati arabi dove Airbus e Boeing si sfidavano senza tregua.
E se cinquant’anni dopo quei momenti, Boeing e Airbus sono praticamente le sole industrie globali dell’aviazione civile e chiunque voglia volare da un continente a un altro oggi sale su un aeroplano europeo o su uno americano, è anche grazie alla spietata guerra di Intelligence Economica che statunitensi ed europei combatterono in gran segreto.
Il punto di partenza della competizione tra la neonata Airbus e le industrie americane – che negli anni poi vennero tutte inglobate nella Boeing – è modello paradigmatico delle dinamiche e dei rapporti di forza contemporanei, sui quali si fonda la Guerra Economica.
Pur se riuniti sotto l’ombrello NATO per fronteggiare il Patto di Varsavia, gli Stati occidentali più influenti del secondo dopoguerra mutarono il loro ruolo strategico facendo delle proprie aziende dei bracci armati, impiegando investimenti e sovvenzioni come delle munizioni con cui gli eserciti aziendali potevano difendere sul piano commerciale e finanziario il proprio sistema-paese.
Una difesa che significava, e significa tuttora, occupazione qualificata, ricadute nei servizi e nel terziario e quindi in definitiva stabilizzazione sociale e del sistema democratico. Di fatto, in questo modo il concetto di sicurezza nazionale divenne interconnesso con l’indipendenza, o sovranità, industriale ed economica.
Il fondatore della EGE, Christian Harbulot, affermò che in fondo la guerra economica è sempre esistita in forme e mezzi tipici di ogni epoca, e la definì come «l’espressione maggiore dei rapporti di forza non militari». Nei dettami della EGA, l’esercito militare e quello industriale sono gli elementi fondanti per la sopravvivenza di un popolo.
Da ciò deriva la necessità di una dottrina di Guerra Economica che possa accompagnare l’evoluzione dello Stato parallelamente al suo armamento militare. “La deterrenza nucleare è l’unica polizza assicurativa sulla vita della Francia” affermava il presidente socialista Hollande e nell’affermazione era insito il fatto che l’industria dell’atomo aveva valenza non solo militare e che per poter sopravvivere lo Stato doveva tutelare un’accademia e un’industria completa in settori diversi: nucleare, energetico, aeronautico e spaziale.
Così negli anni si è assistito sempre di più a un innesto tra i top manager aziendali di ex militari o di personale proveniente dai servizi segreti. L’obbiettivo era quello di sviluppare una sempre più stretta collaborazione tra pubblico e privato, per informare, disinformare, spiare, fare lobbying e alla fine assicurarsi strategici contratti commerciali.
Negli anni il business ormai globalizzato non può evolvere senza innovazione o senza la conquista di nuovi territori, e la sopravvivenza stessa per le aziende così come per gli Stati, è in pericolo. La potenza di una nazione è anche quella di “legare” a sé altri paesi vendendo loro, attraverso le proprie aziende, tecnologie e prodotti che li renderanno poi dipendenti. In tal modo, essi potranno persino definire nuove normative e regole di un’economia di mercato a loro beneficio.
L’Italia del dopoguerra ha attraversato fasi turbolente che però non le hanno impedito di sviluppare un’economia e un’industria di tutto rispetto, e poi nel delicato percorso di integrazione monetaria europea ha sviluppato in maniera frammentata una dottrina politica istituzionalizzata di Intelligence Economica. Oggi però complice la duplice accelerazione dell’evoluzione geopolitica data prima dalla pandemia e poi dalla guerra in Ucraina, il cambio di paradigma rende ineludibile l’adeguamento istituzionale. Si è passati dalla globalizzazione dei primi anni Duemila alla crisi finanziaria degli anni Duemila-Dieci per giungere ora agli anni Duemila-Venti contrassegnati dal conflitto multipolare tra Stati, militare e industriale.
Trovandoci nel pieno della metamorfosi esistenziale, sia geopolitica che economica, non è semplice prevedere lo sbocco di questa evoluzione, ma il dato certo è che se lo Stato non introdurrà strategie e strumenti adeguati a farvi fronte, lo status sociale ed economico cui ci siamo abituati nel nostro paese rischia di essere seriamente intaccato.
Uno di questi strumenti è senza dubbio l’Intelligence Economica, e ancora adesso nel contesto europeo osserviamo come sia la Francia la nazione da prendere a riferimento. Il 25 marzo 2021 è stata presentata al Senato di Parigi una proposta di legge per costituire un Segretariato generale per l’Intelligence Economica sotto l’autorità del Primo Ministro, i cui compiti principali dovrebbero essere quelli di coordinare la politica interministeriale per anticipare gli attacchi economici che potrebbero indebolire il Paese e reagire per consigliare le autorità pubbliche e gli attori industriali. In pratica, il Segretariato sarebbe responsabile dell’attuazione di un sistema di allerta permanente per consentire ad aziende di agire/reagire in un contesto competitivo commerciale.
In Italia, già un paio di decenni fa erano state esplicitate delle indicazioni molto chiare sulla necessità di attuare politiche istituzionalizzate di Intelligence Economica soprattutto da parte di Carlo Jean e di Paola Savona, ma restarono inascoltate. Poi fu presentato un disegno di legge nel 2020 su iniziativa di alcuni senatori per disposizioni in materia di sicurezza nazionale volte a rafforzare la tutela degli interessi strategici economici, che rappresentò una proposta importante sebbene tardiva rispetto alle esigenze nazionali.
L’auspicio è che il prossimo governo metta mano al più presto al tema, divenuto ormai ineludibile a fronte delle evoluzioni geopolitiche mondiali.