L’editrice di Mundi Élite, la Dottoressa Margherita Chiara Immordino Tedesco, incontra Giorgio Fasol, veronese classe 1938, uno dei collezionisti italiani di lunga data più riconosciuti nel sistema dell’arte italiano.
La sua AGIVERONA si configura come “una collezione di ricerca, totalmente votata al contemporaneo e specificamente intesa come strumento per la conoscenza e il supporto di giovani artisti”. Oggi la collezione vanta un variegato panorama di artisti; accanto a nomi ormai storicizzati o conclamati come Giulio Paolini e Maurizio Cattelan, vivono opere di giovani e giovanissimi, in continuo confronto tra generazioni e geografie. AGIVERONA segue un elemento teleologico preciso: “promuovere progetti dedicati all’arte contemporanea e sostenere l’attività dei giovani artisti internazionali”.

Arrivate in galleria. Una giovane donna con i capelli lunghi raccolti ordinatamente vi apre la porta e v’invita a entrare. Sarà lei ad accompagnarvi. Nella prima stanza trovate un’opera di Robert Barry e lei ve la spiega. Se volete potete anche conversare con questa donna, potete dire che ne pensate e ragionare insieme a lei su quel che Barry vi sta suscitando dentro; ma non indugiate troppo. Occorre andare avanti. Nella seconda stanza c’è un lavoro di Ian Willson, l’artista che colloquiava con i visitatori elevando la loro conversazione a opera d’arte. La terza sala, invece, è vuota. Nulla di quello che andavate cercando è appeso alle pareti, nessuna traccia d’arte da nessuna parte. Non avete il tempo d’interrogarla, che la ragazza si scioglie i capelli e comincia a gridare: “Questa è arte contemporanea! Questa è arte contemporanea! Questa è arte contemporanea!”. Vi siete appena immersi nel mondo di Tino Sehgal.

La performance di quest’artista londinese, trasferitosi da anni a Berlino, lavora direttamente con la vita, senza mezzi termini, sporcandosi le mani: la sua tela è l’arena dello spazio, al posto di pennelli sceglie il corpo del performer. La rappresentazione non ha bisogno di filtri: accade, è vera, ed è possibile perché voi siete lì presenti, come spettatori e come partecipanti a un evento che non potrà mai ripetersi identico a se stesso.

Per capirla non basta un moto del cuore, un’intuizione che sopraggiunge come un lampo a ciel sereno. Serve anche quello, ma soprattutto occorre studio, comprensione del linguaggio artistico, molta dedizione.
Di questo è convinto Giorgio Fasol, un uomo che ha iniziato con una sorprendente collezione di figurine di calciatori, per poi passare ai francobolli e approdare definitivamente all’arte contemporanea.

La sua avventura inizia il giorno del suo diploma quando si reca per la prima volta in una galleria con l’intenzione di comprare un Morandi. A quei tempi non era un esperto, non conosceva il valore o l’importanza dell’artista bolognese, aveva solo letto un servizio su una sua mostra e voleva acquistare una sua opera.

Ha con sé i risparmi del lavoro estivo. La gallerista si complimenta con lui per la scelta, gli dice che nel giro di un mese, un mese e mezzo, avrebbe recuperato un Morandi e, quasi per tastare la solidità delle sue intenzioni, gli rivela anche il prezzo dell’opera. Un milione e mezzo di lire nell’Italia del 1958! Lui, però, ha “solo” 350 mila lire, lo stipendio annuale di un impiegato di buon livello. Fasol si congeda ringraziando la gallerista e torna a casa senza il Morandi.
Qualche tempo dopo, visita una mostra insieme alla moglie e, mentre sono intenti a osservare le opere appese alle pareti, una voce brusca li ammonisce: “non dovete guardare le croste, ma le vere opere!” A parlare è Renzo Sommaruga, un artista nato a Milano ma sbocciato a Verona, un uomo polivalente e talentuoso, che passava dalla pittura alla scultura, fino ad approdare alla musica. Oltre a questo era anche un bravo stampatore di libri d’arte. I due si conoscono in quell’occasione e Fasol è invitato a casa del Sommaruga. L’artista aveva appena finito di stampare un libro con una poesia di Quasimodo con allegate nove litografie con opere di diversi artisti tra cui Gentilini, Cantatore, Saetti e anche Capogrossi. La prima scintilla scatta per quest’ultimo.

Con Sommaruga si reca poi a Milano allo studio di Giuseppe Ajmone, perché Sommaruga vuole fare un libro usando le sue litografie. Ajmone li fa aspettare per oltre un’ora e quando compare, senza scusarsi per il ritardo, quasi senza salutare, si presenta con un foglio A4. La carta è bucata in più punti entro un ovale fatto con la biro. E’ un’opera di Lucio Fontana che Ajmone ha appena comprato per tremila lire. Questa è stata la seconda folgorazione e ha aperto le porte a una vita dentro l’arte contemporanea.
Il percorso di Giorgio Fasol attraversa tutta la seconda metà del ‘900 e approda ai giorni nostri seguendo alcune linee guida che gli hanno permesso di creare una tra le collezioni più prestigiose e apprezzate dagli intenditori.
Ma cosa serve per diventare un collezionista e come ci si deve comportare davanti alla complicatissima produzione d’arte contemporanea che sempre più spesso genera più critiche che meraviglia? Fasol non ha dubbi. L’acquisto di un’opera d’arte è un atto d’amore. “L’arte non è un investimento, è cultura. L’investimento non porta alla cultura, mentre la cultura porta a un buon investimento”. Il collezionista veronese ha fatto suo l’insegnamento di un altro gigante del collezionismo internazionale, il suo amico Giuseppe Panza Di Biumo: “Se ami l’arte, è l’arte che ama te; se sfrutti l’arte è l’arte che sfrutta te”. Ciò che dai all’arte, l’arte te lo restituisce.
Trattare l’arte come un investimento significa impoverire l’opera, l’artista, la vita. Ci sono modi migliori per far fruttare i propri soldi, qui è richiesto di far fruttare i sentimenti, la nostra capacità di comunicare emozioni, di fare astrazione per raccontare il tempo che stiamo vivendo. Ciò che si ricerca è l’opera che lascia il segno dentro di noi, tra le pieghe della nostra storia personale e collettiva.
Robert Barry sosteneva che “l’arte è una lingua e ha le sue radici nel linguaggio”. Ma una lingua va appresa prima di poterla usare. I coniugi Fasol hanno studiato con dedizione assoluta, dedicando tutto il loro tempo libero per essere presenti allo scorrere dell’arte che gli passava davanti. Il giorno del loro cinquantesimo anniversario, i loro nipoti si sono presentati con una busta contenente una somma di denaro con cui poter fare un viaggio. Quella busta è ancora lì intatta, non c’è stato tempo per fare altro che non fosse visitare mostre, gallerie e lavorare alla loro AGIVERONA.
Una delle caratteristiche più note di Giorgio Fasol è il suo straordinario talento per scoprire i giovani artisti. Dal 1985 acquista solo giovani alle prime loro mostre, in altre parole perfetti sconosciuti o quasi. Ha comprato un Arienti nel 1988, AC Forniture Sud di Cattelan nel 1991, Scatola di montaggio di Eva Marisaldi nel 1991, Déjeuner avec Marubi, il primo video di Anri Sal, nel 1997, Adel Abdessamed nel 1999, Jim Lambie Nel 2000, Francesco Vezzoli nel 2001, Adrian Paci nel 2002, Berlinde De Bruyckere nel 2003, Pierre Bismuth nel 2004, Ra De Martino nel 2005, Andrea Galvani nel 2006, Tomas Saraceno nel 2006, Cyprien Gaillard nel 2007, Shilpa Gupta nel 2008, Rashid Johnson nel 2009, Georges Adeagbo nel 2010, Nari Ward nel 2012, Lawrence Abu Hamdan nel 2013, Giulia Cenci nel 2013, Ibrahim Mahama nel 2014, Rodrigo Hernandez nel 2015.
Questa sua particolare sensibilità per intuire il talento dentro la confusione dell’arte contemporanea deriva dalla completa dedizione e comprensione di che cosa si cela dentro al mondo della materia artistica. Se prendiamo un’opera del ‘600 e le appendiamo di fianco un Fontana, in molti sosterranno che la prima è arte, mentre la seconda sono solo tagli che potrebbe fare chiunque. Ecco, in questo caso è chiaro cos’è che manca alla maggior parte delle persone: si sono persi quattrocento anni di storia dell’arte. E’ una questione d’ignoranza, non di mancanza di valenza artistica nella produzione contemporanea.
Fasol è stato definito da molti come un collezionista di opere che non esistono. Questo perché è stato il primo collezionista italiano ad acquistare un Tino Sehgal, l’artista della donna che si scioglie i capelli e inizia a gridare. Nel 2003 Fasol andò a una sua mostra e ne fu entusiasta. Decise di ordinare un’opera al gallerista. Solo dopo tre mesi ebbe la conferma che Sehgal era disposto a vendergli una sua opera. L’artista si volle informare, prima di decidere di entrare nella sua collezione. S’incontrarono insieme al gallerista e al notaio di Fasol per perfezionare l’acquisizione. Fasol e la moglie furono istruiti per più di due ore dallo stesso Sehgal su come avrebbero dovuto rappresentare l’opera. Il notaio era perplesso perché non aveva capito il suo ruolo. Quando gli fu detto che non avrebbe dovuto scrivere nulla sull’atto di acquisizione, che la sua presenza era sufficiente, anche la moglie di Fasol rimase perplessa e lo invitò a non acquistare nulla, poiché non gli stavano vendendo niente. Il notaio esclamò: “Signori, ma questa è una presa in giro!” e il collezionista lo ringraziò, perché quella sua reazione era la prova che si trattava di una vera opera d’arte.

Fasol fu costretto ad accettare le condizioni d’acquisto che previdero l’assenza di scritture tra le parti, l’obbligo di preventivo assenso da parte dell’artista per un’eventuale vendita o esposizione dell’opera, l’obbligo del pagamento di un euro all’ora alle persone addette alla comunicazione della notizia più eclatante del giorno, azione questa che costituisce l’opera stessa, il cui titolo è: This is the news.

Pertanto, se un giorno vi troverete a varcare la porta dell’abitazione di Giorgio Fasol, non stupitevi se ricevendovi in casa sua, al posto del più consueto “benvenuto, entri pure”, lui vi dirà: “Cina respinge accuse di spionaggio GB, visti troppi film di 007!” In fondo è una notizia battuta dall’Ansa trenta minuti fa! Cosa succederà dopo non ve lo sappiamo dire, ma siate soddisfatti, siete davanti a uno dei giganti del collezionismo italiano.
