Un dialogo con la femminilità. Intervista alla Professoressa Alessandra Graziottin

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Intervista alla Professoressa Alessandra Graziottin
Medico, specialista in Ginecologia e Ostetricia, e Oncologia
Direttrice del Centro di Ginecologia e Sessuologia medica dell’Ospedale San Raffaele Resnati di Milano
Presidente della Fondazione Alessandra Graziottin per la cura del dolore nella donna Onlus

Dice di sé: «Sono nata sorridendo tra le colline venete». Si riferisce alla terra di Montebelluna.
Con questo incipit, si capisce subito che siamo innanzi a una persona solare, innamorata della vita, che trasmette energia positiva. Una donna che ha carisma e fascino.
Alessandra Graziottin è medico, un’eccellenza d’Italia.
In realtà non avrebbe bisogno di presentazioni, ma è nostra convinzione che in un mondo che tende a uniformare tutto, perdendo di vista il significato del valore, del merito e della competenza (temi peraltro cari alla professoressa), è giusto far cenno alla sua carriera, perché è notevole sin dagli esordi.
Laurea in Medicina a Padova con 110 e lode; specializzazione in Ginecologia e Ostetricia con lode e speciale menzione accademica; specializzazione in Oncologia, sempre con lode. Formazione in psicoterapia: «Una scelta per conoscermi meglio e per aiutare con più competenza le mie pazienti». Formazione in sessuologia: «Per aiutare le donne a ridare le ali alla loro sessualità ferita dalla vita, dalla malattia o dalla menopausa».
Ha pubblicato 25 libri, come autore o curatore, 97 capitoli i libri scientifici, oltre 130 articoli scientifici peer-reviewed e oltre 330 articoli per atti di congressi e altre riviste scientifiche. Ha presentato oltre 1780 relazioni a congressi nazionali, internazionali e mondiali. E’ stata membro del comitato scientifico e del direttivo, e presidente, di prestigiose società scientifiche nazionali e internazionali.
Si esprime con un linguaggio che svela delicatezza, sensibilità e cultura, oltre la professione scelta. L’obiettivo della sua vita professionale è realizzare, almeno con le proprie pazienti, quanto anticipato del grande neurologo russo Aleksandr Lurija: «La grande sfida è riparare la frattura che ha percorso tutto il Novecento tra una medicina senz’anima e una psicologia senza corpo».
La naturale vocazione empatica, la cultura umanistica, e il desiderio di dare un senso profondo alla propria vita si sono ben integrate con una solida formazione medico-scientifica. Il risultato è un medico speciale.
Le è sempre piaciuto studiare, con un’inesauribile scintilla di entusiasmo e curiosità, che la porta a voler conoscere di più, e a fondo, la straordinaria complessità e bellezza del corpo umano, nella salute e nella malattia. La sua missione è far stare bene le donne.
Ha un’energia luminosa, fisica e mentale: figlia di buoni geni, rigorosi stili di vita, solida disciplina interiore, di cui è grande sostenitrice, e di un’ottima terapia ormonale sostitutiva.
Forza d’animo, coraggio e spirito di dedizione ne connotano la natura più profonda. Il carattere volitivo è espressione del rigore e del ritmo impresso alla propria esistenza.
Una vita spesa all’insegna di una grande missione: essere un buon medico, e aiutare le proprie pazienti a «(ri)trovare il proprio baricentro emotivo e la propria musica», per essere più sane e più felici.
Fin da subito, giovane laureata, durante le guardie notturne, capisce l’importanza del dialogo e si impegna a crearlo con le pazienti ricoverate. Lo fa anche la sera, nel silenzio dell’ospedale, nella consapevolezza della necessità di comprendere il dolore, la devastazione che questo comporta nel corpo e nella psiche e la necessità che la condurrà per tutta la vita a cercare di porvi rimedio. Di alleviare il dolore femminile, una missione, così come comprendere e difendere quell’universo donna, così particolare e unico. Infine di lottare sostenendo la paziente per estirpare la malattia, in quella sfida quotidiana che il medico ha con la morte.
Alessandra Graziottin è un medico appassionato, un esempio, una guida. Con la paziente sa creare un rapporto di “alleanza empatica”. Come dice sempre, per curare bene bisogna «fare squadra» con la propria paziente: con gusto, con rispetto, con sensibilità, felici di condividere l’obiettivo comune di stare meglio e, se possibile, di guarire. E fare squadra anche con i colleghi il cui intervento sia necessario per ottimizzare il risultato, se sono presenti più patologie.
Se le chiedete qual è la sua parola preferita, vi risponderà: “coraggio”. A pari merito con “calma”, la new entry degli ultimi anni.
Ama gli animali, le fanno compagnia due splendidi gatti. Ama la luce e i fiori, che coltiva personalmente con gran gusto.
Fin da bimba è molto sportiva: tra le passioni, l’equitazione, lo sci, nell’amatissima Val Badia, le lunghe camminate nei boschi meravigliosi e solitari delle Dolomiti Feltrine. “Mens sana in corpo sano” è il motto per ricaricare energia fisica e mentale. Per questo raccomanda sempre alle pazienti almeno 45 minuti di camminata veloce mattutina, sport a piacere, cura della postura, dell’alimentazione gioiosa e sana e del peso forma.
Ama leggere, ama scrivere. Accanto alle prestigiose pubblicazioni scientifiche sono di grande intensità gli articoli di attualità che appaiono settimanalmente in quotidiani e riviste nazionali.
Un medico che in sé sintetizza cultura classica e cultura scientifica ricucendo in modo gentile lo strappo crociano. Una donna particolare, tosta, femminile, generosa. Capace di sorprenderti quando, dopo un incontro clinico significativo, ti ritrovi nel cuore un’aria leggera, fatta di speranza e di luce.

In quale momento della sua vita ha capito che le sarebbe piaciuto diventare medico?
Da ragazzina, quando per molti mesi sono andata a trovare in ospedale un bambino molto amato. Il contatto col dolore misterioso e crudele dei più piccoli è stato rivoluzionario. Diventare medico per ridurre il dolore della malattia e ridare gioia di vivere è diventato l’obiettivo più importante del mio progetto di vita. Poi, durante il corso di medicina, la scoperta di quanto il dolore delle donne fosse negato mi ha portata alla scelta della ginecologia, e poi dell’oncologia.

La medicina in Italia, forse più che all’estero, è ancora molto dominata dagli uomini. Quanto è impegnativo per una donna dimostrare il proprio valore?
Immensamente, molto più che nei Paesi anglosassoni, o in Russia, per esempio, Paesi che conosco molto bene da decenni. In Italia è indispensabile non solo avere talenti e coltivarli, ma avere una dedizione assoluta al lavoro almeno per i primi 15-20 anni.
In positivo, quando si è raggiunto un indiscusso livello di competenza, la collaborazione con i migliori medici italiani diventa realtà, con gratificazione e gusto. Oggi continuo a crescere professionalmente anche grazie alla collaborazione di altissimo profilo scientifico e clinico proprio con medici italiani eccellenti.

La farmacologia produce farmaci per così dire “unisex”, eppure il corpo dell’uomo e il corpo della donna sono diversi. Lei pensa che si dovrebbe investire di più su una farmacologia specifica per le donne?
Condividiamo 45 cromosomi su 46: quindi abbiamo anche molto in comune, uomini e donne, sui fondamentali della biologia e della vita, più di quanto l’attuale esasperazione sulle differenze faccia pensare. [sorride]
Detto questo, abbiamo certamente bisogno di una vera medicina di genere, che sappia distinguere somiglianze e differenze. Il più grande torto fatto alle donne è costringerle a invecchiare per 35 anni, dopo la menopausa, senza la giusta cura con le terapie ormonali sostitutive (TOS). La potrebbe fare in tutta sicurezza l’87% delle donne, con immensi vantaggi per la salute fisica, emotiva e sessuale. Una TOS ben personalizzata riduce del 40% la mortalità per ipertensione, infarti e ictus; del 38% l’osteoporosi e il rischio di fratture correlato; rallenta nettamente l’artrosi (che altrimenti triplica nelle donne dopo la menopausa rispetto ai coetanei maschi); dimezza il rischio di malattia di Parkinson, riduce la depressione, l’ansia e il deterioramento cognitivo, sempre in sinergia con stili di vita sani, riduce i disturbi uroginecologici e intestinali. Regala un buon sonno, grande custode della salute, e ricarica l’energia vitale. Non ragioniamo mai su un punto cardinale: la menopausa è l’unico caso in medicina in cui due ghiandole cardinali, le ovaie, si esauriscono e i loro ormoni non vengono sostituiti per 35 anni, come invece facciamo per qualsiasi altra ghiandola che non funzioni più, che siano la tiroide, il pancreas con l’insulina e così via. E perché le donne non fanno la TOS? Perché le abbiamo terrorizzate enfatizzando oltre misura il minimo rischio sulla mammella (0,08%)! Le controindicazioni restano pregressi tumori alla mammella, all’endometrio e pregresse trombosi.

Nei suoi articoli d’attualità lei torna spesso sul concetto di merito. E sul concetto di tempo: c’è un tempo per ogni cosa anche per impartire al nostro cervello, che è plastico specie in giovane età, i migliori insegnamenti. Pensa che la società in cui viviamo e l’educazione che impartiamo ai nostri giovani punti sul merito?
Purtroppo no, soprattutto negli anni più recenti, con responsabilità condivise tra famiglia, scuola e società. Con uno spreco spaventoso di talenti, di opportunità di realizzazione e di gioia nella vita. Sono (quasi) scomparse dal lessico educativo parole come impegno e responsabilità, dovere e rispetto delle regole, autodisciplina e anche sacrificio, per realizzare un progetto di studio e di vita desiderato. Esistono solo diritti. Un errore educativo tragico, con le luminose eccezioni delle famiglie in cui i pilastri valoriali dell’educazione vengono rispettati e tramandati con efficacia e coerenza. Con risultati promettenti e luminosi: che mi ridanno speranza, quando incontro giovani creature che hanno avuto la fortuna di genitori con questo solido sguardo educativo, antico, fermo e affettuoso, sui figli e sulla vita.

Qual è il suo rapporto con dolore?
E’ il cavaliere nero che accompagna tutta la nostra vita, come nel “Signore degli Anelli”. A volte da lontano, e allora è un monito, spesso inascoltato, a proteggere la nostra salute e a saper assaporare a fondo ogni giorno senza dolore, ascoltando ogni piccola gioia, fisica ed emotiva. A volte si avvicina con passo lento e ci mette in guardia. In quel momento può esserci amico, se ci stimola a cambiare quello che ci sta facendo del male. Altre volte ancora ci colpisce d’improvviso e a fondo, anche in modo crudele.
Ho conosciuto il dolore, fisico ed emotivo. Per questo lo rispetto, lo studio, lo temo. Non lo sottovaluto mai. Dal punto di vista clinico, il dolore cronico è uno scacchista esperto, raffinato e difficile con cui confrontarsi, con cui combattere, con cui negoziare, con molta calma. Una grande scuola, di medicina e di vita.

Perché le donne sembrano sin dalla più giovane età più predisposte al dolore?
In realtà nei millenni il vero problema è stato la “normalizzazione” del dolore nelle donne: in particolare il dolore mestruale e da parto, ma anche tutti gli altri dolori, perché le cause erano interne al corpo, invisibili. Se poi ci mettiamo anche la maledizione biblica “partorirai con dolore”, abbiamo scritto un destino.
Per gli uomini il dolore era più correlato a cause esterne, visibili: ferite da caccia, da cadute, da lotte e battaglie, in genere post traumatiche. Anche per questo il dolore è stato molto più ascoltato e rispettato negli uomini, e molto più banalizzato, normalizzato e negato, nelle donne. Basti vedere ancor oggi l’atteggiamento di mancata attenzione clinica verso il dolore mestruale invalidante, come ho dimostrato in uno studio su oltre 6700 donne italiane, ora in corso di pubblicazione.

Qual è il suo rapporto con la felicità?
«Ho riconosciuto la felicità dal rumore che ha fatto andando via», diceva Marcel Proust. Ho letto questa frase a dodici anni. Mi ha folgorata. Mi sono detta: «Non mi deve succedere». Da allora è stato un monito interiore ad assaporare la felicità, ogni piccola gioia, ogni giorno. E a non perderla, a non smarrirla, a non lasciarla evaporare pian piano o morire d’improvviso. Parte della mia energia nasce da questa cura, quotidiana e antica, di assaporare ogni piccola felicità. La mia gattina Sibilla che mi ronfeggia vicina e mi regala una carezza con la zampina, e un sorriso, mentre scrivo. I ciclamini che hanno acceso di luce i terrazzi invernali. Il tramonto luminoso stasera. I bulbi che ho piantato con amore, e ora stanno sbocciando. La sciata di ieri felice e grintosa, a Corvara, sole e piste perfette, corpo e cuore che cantano allegri, volando sulla neve. O galoppare in sintonia col mio cavallo Fullino. E’ felicità l’armonia in famiglia. La conversazione toccante, quando si parlano due anime, e lo sguardo grato ti commuove. E’ la voce che vibrando ti dice qualcosa che le parole non dicono. E’ il progetto condiviso: con giovani allieve e la gioia di vederle crescere; o con colleghi appassionati. E’ il profumo d’amore, che ha tanti colori e tanti segreti. E’ la fragilità della felicità, che me la rende preziosa e cara.

Accanto ai farmaci tradizionali quanto sono importanti i prodotti galenici per una terapia “taylor made”?
Molto, se possiamo contare su farmacisti di nuovo appassionati del loro magnifico lavoro di preparatori, oggi in grande crescita. Essere farmacisti preparatori certificati richiede molto studio e aggiornamento continui, molta preparazione, molta competenza sul fronte farmacologico, chimico, biochimico, farmaceutico e clinico, e una stretta collaborazione con il medico prescrittore. La terapia su misura è un capolavoro di competenza, non uno slogan alla moda.

La menopausa è un momento delicato della donna. Si chiude un ciclo fondamentale della vita legato alla riproduzione, ma anche al benessere. E’ possibile invertire questo fenomeno? Oggi si parla molto di nuove tecniche di ringiovanimento.
Invertire no, rallentare sì. Gli stili di vita sani, fin da piccoli, scelti e vissuti con costanza e gusto, sono il primo alleato di ogni progetto di longevità in salute. E non sono negoziabili. Poi, per le donne in menopausa, una terapia ormonale sostitutiva ben personalizzata e tempestiva, iniziata subito dopo l’ultimo ciclo, può dare a corpo e mente salute ed energia. Su questa base eccellente, certamente la medicina rigenerativa può potenziare al massimo le chances, quanto più si inserisce su una base solida e sana di responsabilità vera verso la propria salute. Un corpo logorato dal fumo, dall’alcol, dallo stress, dalle droghe, dall’obesità o dal diabete, o minacciato dal cancro o dall’infarto, non può sperare solo nei miracoli della medicina rigenerativa. Anche se nella medicina delle promesse l’illusione del marketing funziona.

Lei è una donna che non ha mai avuto paura di andare contro corrente e i fatti, poi, le hanno dato ragione. E’ una paladina degli ormoni della giovinezza come il DHEA. Può spiegarci i suoi benefici, e se è vero che combinato con altri ormoni può invertire le lancette del tempo?
Non invertire, rallentare. Il DHEA (deidroepiandrosterone), prodotto soprattutto dalle ghiandole surrenaliche, è il precursore, il genitore di tutti gli ormoni sessuali. Lancia la pubertà e per questo è chiamato l’ormone della giovinezza. Raggiunge i massimi livelli a vent’anni, poi cominci a ridursi. A cinquant’anni ne abbiamo già perso il 60-70%. Ridare al corpo gli ormoni perduti è il principio base dell’endocrinologia mondiale. Peccato che in Italia questa regola cardinale della medicina non valga per l’esaurimento menopausale delle ovaie (fa la TOS solo il 7% delle italiane, contro l’87% delle mie pazienti). E il DHEA è stato addirittura proibito dal Ministero della Salute come “dopante”, mettendo in un’unica categoria i ragazzi che si dopano, comprandolo ad alte dosi su internet per aumentare le prestazioni sportive, con le donne in post-menopausa che ne hanno già perduto la maggior parte. La Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (SIGO), congiuntamente alla Società Italiana di Endocrinologia (SIE), che rappresentano circa 20.000 medici, hanno chiesto al Ministro la “nota in deroga”, per le situazioni cliniche di documentata carenza, per poterlo prescrivere, in scienza e coscienza, quando esiste una precisa indicazione clinica. Niente. E poi si parla di medicina di genere e di attenzione alla salute delle donne.

Un cocktail di farmaci testato su nove volontari è sembrato in grado di invertire la corsa dell’orologio epigenetico del corpo, che segna l’età biologica della persona. Che cosa ne pensa?
Sono necessari studi molto più corposi prima di poter fare affermazioni così forti. L’attrazione per l’opportunità è universale. Ma il mito ci fa riflettere su molti lati oscuri dell’eterna giovinezza, o dell’immortalità, che preferiamo lasciare nell’ombra.

Alcuni esperti, che studiano le proprietà del sangue, ravvisano in una proteina del plasma l’elisir di giovinezza: il GDF11 (Growth Differentiation Factor 11), che secondo questi scienziati sarebbe in grado di revitalizzare le cellule staminali inducendo a rimpiazzare quelle logorate dal tempo. Può un semplice trasferimento di sangue invertire o per lo meno rallentare le lancette dell’orologio? Possiamo davvero sperare che la medicina, oggi concentrata sul deterioramento e la malattia, possa in futuro concentrarsi nel ringiovanimento ?
Queste linee di ricerca sono stimolanti e molto promettenti. Tuttavia il mio principio di realtà mi fa osservare che stiamo assistendo a un pandemia di obesità, di diabete, di deterioramento cognitivo accelerato, di malattie cardiovascolari e di tumori accentuati dall’infiammazione legata all’obesità, malattie per le quali non c’è medicina rigenerativa che tenga. E che interessa miliardi di persone, almeno la metà di quelle che ora vivono sulla terra. Pensiamo di ringiovanirle con le staminali?
Dobbiamo investire di più in cultura della salute e prevenzione. Guardate la differenza di mortalità degli uomini italiani, secondo i dati ISTAT, scegliendo come unica variabile il titolo di studio: quelli con scolarità più bassa muoiono circa mille giorni (tre anni) prima di coloro che hanno titolo di studio superiore, un diploma o una laurea. E si sono ammalati prima. Quindi, benissimo la ricerca, che dà speranza e fiducia nel futuro. Ma stiamo con i piedi per terra, e lavoriamo sui fondamentali della salute, che tutti dovrebbero mettere in pratica con costanza e responsabilità, se davvero vogliono rallentare le lancette del loro orologio biologico.

Il suo augurio?
Che ciascuno possa riappassionarsi a migliorare la propria vita, concretamente, ogni giorno. Cercando di realizzare almeno un sogno rimasto nel cassetto: imparare a suonare una tastiera, uno sport nuovo, un hobby che stimoli corpo e mente, una lingua straniera, proprio per riassaporare la grande gioia di apprendere.
Che ciascuno abbia maggior cura della propria preziosissima e fragile salute. Sia generoso verso gli altri: di una parola affettuosa, di un gesto di attenzione, di un piccolo o grande aiuto. E sia più grato e rispettoso verso la nostra terra, così maltrattata. Bellissimo chiudere gli occhi la sera, sereni, se si è riusciti a regalare una piccola scia di luce, confortante e gentile.

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